da “Giornale delle PMI” del 7/11/2016 – Il concessionario della riscossione è stato condannato al pagamento delle spese legali in favore dei contribuenti poiché a questi ultimi era stata notificata un’intimazione di pagamento per cartelle esattoriali già annullate con precedenti sentenze.
Ciò è quanto emerge dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sezione 24, che con sentenza n. 7068 del 2016 (liberamente visibile su www.studiolegalesances.it– sezione Documenti) ha condannato Equitalia alla rifusione delle spese legali a seguito del suo operato, tanto da definire “illegittimo l’atto impugnato, da ritenersi nullo, per carenza del presupposto di diritto, fin dalla sua emissione/notifica al contribuente”.
Come anticipato, la vicenda riguardava l’impugnazione da parte di due contribuenti di un’intimazione di pagamento notificata da Equitalia per delle cartelle esattoriali già oggetto di un precedente ricorso e già annullate con precedenti sentenze passate in giudicato.
Secondo i giudici, infatti, “le sentenze richiamate, passate in giudicato, dovevano necessariamente comportare, previo immediato versamento delle spese liquidate in sentenza a favore del contribuente, l’altrettanto immediata cancellazione dei ruoli che, al contrario, comparivano ancora a carico dei ricorrenti tanto da formulare e notificare loro l’intimazione di pagamento impugnata”.
Alla luce di siffatti presupposti, i giudici, oltre ad accogliere in toto le ragioni dei contribuenti, hanno altresì rilevato la mancanza di correttezza nel comportamento tenuto da Equitalia, la quale non solo ha omesso l’applicazione delle sentenze ma ha anche insistito nel voler riscuotere un credito non dovuto. Difatti, tralasciando per un attimo la violazione del giudicato da parte dell’agente della riscossione (secondo quanto chiarito dal Consiglio di Stato con sentenza del 20 aprile 2015, n. 2002, si ha violazione del giudicato “quando il nuovo atto riproduca gli stessi vizi già censurati in sede giurisdizionale ovvero quando si ponga in contrasto con precise e puntuali prescrizioni provenienti dalla statuizione del giudice”), ciò che emerge è il mancato esercizio tempestivo del potere di autotutela da parte del concessionario che ha costretto il contribuente a proporre un’azione legale prima di riconoscere l’errore.
Come già evidenziato in giurisprudenza (in tal senso Commissione Tributaria Regionale Puglia, 11/01/2011, n. 11), nelle ipotesi in cui al mancato annullamento in autotutela dell’atto impugnato segua la costituzione in giudizio dell’amministrazione, si configura una resistenza in giudizio in “mala fede o colpa grave” suscettibile di consentire al giudice tributario di condannare l’ufficio soccombente oltre che alle spese di lite, anche al maggior danno per lite temeraria liquidato dal giudice ex art. 96 c.p.c.
Il giudice può dunque valutare negativamente il comportamento dell’amministrazione finanziaria o del concessionario i quali, anche nell’esercizio dei propri poteri discrezionali (come appunto quello di autotutela), devono svolgere la propria attività attenendosi ai principi di imparzialità, buon andamento, ragionevolezza ed adeguatezza ma anche al dovere di correttezza e buona fede nei rapporti con contribuenti, così come stabilito dall’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente.
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Avv. Matteo Sances
Nicola Cicchelli
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