da “Giornale delle PMI” del 24/10/2016 – Annullato un accertamento fiscale a carico di una contribuente alla quale erano stati contestati alcuni versamenti effettuati sul conto corrente della figlia: a darle ragione sono state le dichiarazioni di terzi attraverso le quali è stato dimostrato che si trattava di regali di matrimonio in favore della figlia, sposatasi proprio nell’anno sottoposto a verifica.
La Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sezione 23, con la sentenza n. 8508 del 2015 (liberamente visibile su www.studiolegalesances.it – sezione Documenti), in conformità con il prevalente orientamento giurisprudenziale, ha accolto le ragioni di una contribuente ritenendo sufficienti ad annullare la pretesa del Fisco le dichiarazioni rese da terzi.
Il caso nasce dal ricorso presentato da una contribuente che si era vista recapitare un accertamento Irpef, Irap e Iva, fondato sulle risultanze di versamenti operati su conti correnti bancari, di cui uno intestato alla figlia e sul quale la ricorrente aveva delega ad operarvi. In riferimento a quest’ultimo conto corrente, gli accertatori – avendo rilevato che la contribuente era dotata del potere di operarvi pur non essendone l’intestataria – erano giunti a presumere che i versamenti derivassero da ricavi in “nero”.
Proprio la possibilità di contrastare la presunzione del Fisco anche attraverso elementi presuntivi di segno opposto a quelli utilizzati dall’Amministrazione Finanziaria, ha consentito alla contribuente di ricorrere a delle dichiarazioni rese da terzi (si trattava dei donanti) che, accompagnate dal certificato di matrimonio della figlia, sono bastate a giustificare i versamenti sui conti correnti.
È bene chiarire che l’art. 7 del D.Lgs 546/1992 sancisce il divieto di utilizzabilità della testimonianza e del giuramento nel processo tributario, vincolo a quanto pare giustificato dal fatto che in un ambito così specifico come quello tributario sarebbe “poco attendibile” affidare una testimonianza a dei soggetti che vantino lo status di contribuenti e che quindi potrebbero covare una sorte di favoritismo nei confronti del privato. Secondo altri, invece, la ratio della norma è perlopiù determinata dal fatto che si tratta di un processo fondamentalmente documentale.
Ad ogni modo, tale divieto se da un lato ha sollevato e continua a sollevare polemiche in dottrina (anche se la Corte Costituzionale ha espresso il proprioplacet), dall’altro avvalora l’importanza delle dichiarazioni acquisite in ambito extraprocessuale.
Dichiarazioni che, non potendo essere qualificabili come prove testimoniali, hanno valore probatorio di meri elementi indiziari, i quali, pur non essendo idonei da soli a costituire il fondamento della decisione, devono essere tenuti in considerazione dal giudice (numerose le pronunce in tal senso: Cass., sez. trib., n. 11785/2010, Cass., sez. trib., n. 767/2011).
Ciò che rileva, al di là del caso in esame, è che la possibilità di contrastare le presunzioni del Fisco attraverso delle dichiarazioni di terzi, rappresenta un passo in avanti verso la parificazione delle armi processuali a disposizione dei contribuenti, i quali dovrebbero sempre avere diritto ad una piena difesa dei propri diritti.
Dott.ssa Donatella Dragone
Avv. Matteo Sances
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